Ex Ospedale psichiatrico di Volterra
L'ospedale psichiatrico di Volterra nasce il 5 giugno 1884,
nel 1900 contava già 282 degenti.
Il massimo di pazienti si registrò nel 1939 con 4794 unità.
All’interno dell’Ospedale Psichiatrico di Volterra fino al 1963 veniva applicato un rigido custodialismo, si rafforzarono sempre più il regime poliziesco e il verticismo organizzativo piramidale dove il primario distribuiva gli ordini a tutto lo staff, gli infermieri eseguivano gli ordini e i pazienti li subivano.
Il clima era carcerario, gli infermieri venivano chiamati “guardie” o “superiori, le finestre dei reparti erano protette da sbarre e di notte venivano chiuse a chiave.
All’interno dell’ospedale era presenti una falegnameria, un panificio, una lavanderia, un’officina elettrica, una calzoleria, botteghe di stagni e fabbri, vetrai, addirittura una fornace per la fabbricazione dei mattoni da utilizzare nei padiglioni da costruire.
Vi erano inoltre due colonie agricole gestite da due famiglie di coloni nelle quali lavoravano i malati e che provvedevano a rifornire, anche se non per l’intero fabbisogno, i magazzini dell’Ospedale Psichiatrico; allo stesso scopo servivano gli allevamenti di oche e conigli del manicomio.
Nel 1933 venne addirittura istituita una moneta ad uso esclusivo dei ricoverati lavoratori per gli acquisti presso l’Ospedale psichiatrico
Per un certo periodo funzionò anche un autonomo ufficio postale.
Gli ammalati venivano impiegati nei lavori edili, nei lavori agricoli, nelle officine, nella lavanderia, nella cucina, negli scavi in terreno archeologico; anche la ricreazione aveva una funzione importante ogni anno veniva organizzato quello che alcuni giornalisti italiani e stranieri chiamavano il «Carnevale dei pazzi», che consisteva in feste da ballo e recite a cui prendevano parte malati, infermieri e personale sanitario, così che il malato potesse scaricare in attività estroverse le sue anomalie psichiche.
Per rendere graduale il reinserimento dei malati all’interno della società, nacquero gli “ospiti”, ex-ricoverati che alloggiavano in strutture all’interno dell’Ospedale Psichiatrico: quattro case-famiglia con camere da due o tre posti.
Si trattava di una sorta di passaggio tra la totale chiusura all’interno dell’Ospedale e l’apertura alla società
Nel 1977 all’interno dell’Ospedale Psichiatrico di Volterra erano ancora ricoverati 630 degenti che provenivano soprattutto dalle provincie di Pisa e Livorno. Di queste persone 530 vivevano ancora all’interno dell’Ospedale, mentre gli altri 100 erano ufficialmente dimessi, erano gli “ospiti”
Dal 1978 l’ospedale è in stato di abbandono.
Le lettere che i pazienti scrivevano ai familiari, durante la loro degenza in ospedale, non venivano considerate da parte dei medici ma venivano semplicemente raccolte nelle cartelle cliniche.
Nel 1978 vennero raccolte e pubblicate nel libro “Corrispondenza negata”, epistolario contenente tutte le lettere originali ed integrali
Il massimo di pazienti si registrò nel 1939 con 4794 unità.
All’interno dell’Ospedale Psichiatrico di Volterra fino al 1963 veniva applicato un rigido custodialismo, si rafforzarono sempre più il regime poliziesco e il verticismo organizzativo piramidale dove il primario distribuiva gli ordini a tutto lo staff, gli infermieri eseguivano gli ordini e i pazienti li subivano.
Il clima era carcerario, gli infermieri venivano chiamati “guardie” o “superiori, le finestre dei reparti erano protette da sbarre e di notte venivano chiuse a chiave.
All’interno dell’ospedale era presenti una falegnameria, un panificio, una lavanderia, un’officina elettrica, una calzoleria, botteghe di stagni e fabbri, vetrai, addirittura una fornace per la fabbricazione dei mattoni da utilizzare nei padiglioni da costruire.
Vi erano inoltre due colonie agricole gestite da due famiglie di coloni nelle quali lavoravano i malati e che provvedevano a rifornire, anche se non per l’intero fabbisogno, i magazzini dell’Ospedale Psichiatrico; allo stesso scopo servivano gli allevamenti di oche e conigli del manicomio.
Nel 1933 venne addirittura istituita una moneta ad uso esclusivo dei ricoverati lavoratori per gli acquisti presso l’Ospedale psichiatrico
Per un certo periodo funzionò anche un autonomo ufficio postale.
Gli ammalati venivano impiegati nei lavori edili, nei lavori agricoli, nelle officine, nella lavanderia, nella cucina, negli scavi in terreno archeologico; anche la ricreazione aveva una funzione importante ogni anno veniva organizzato quello che alcuni giornalisti italiani e stranieri chiamavano il «Carnevale dei pazzi», che consisteva in feste da ballo e recite a cui prendevano parte malati, infermieri e personale sanitario, così che il malato potesse scaricare in attività estroverse le sue anomalie psichiche.
Per rendere graduale il reinserimento dei malati all’interno della società, nacquero gli “ospiti”, ex-ricoverati che alloggiavano in strutture all’interno dell’Ospedale Psichiatrico: quattro case-famiglia con camere da due o tre posti.
Si trattava di una sorta di passaggio tra la totale chiusura all’interno dell’Ospedale e l’apertura alla società
Nel 1977 all’interno dell’Ospedale Psichiatrico di Volterra erano ancora ricoverati 630 degenti che provenivano soprattutto dalle provincie di Pisa e Livorno. Di queste persone 530 vivevano ancora all’interno dell’Ospedale, mentre gli altri 100 erano ufficialmente dimessi, erano gli “ospiti”
Dal 1978 l’ospedale è in stato di abbandono.
Le lettere che i pazienti scrivevano ai familiari, durante la loro degenza in ospedale, non venivano considerate da parte dei medici ma venivano semplicemente raccolte nelle cartelle cliniche.
Nel 1978 vennero raccolte e pubblicate nel libro “Corrispondenza negata”, epistolario contenente tutte le lettere originali ed integrali
Fai clic qui per effettuare Ciò che la fotografia riproduce all’infinito ha avuto luogo una sola volta: essa ripete meccanicamente ciò che non potrà mai più ripetersi esistenzialmente.
Roland Barthes
Roland Barthes